Ed io a chi dedicarrò il mio Candelaio? a chi, o gran
destino, ti piace ch’io intitoli il mio bel paranimfo, il
mio bon corifeo? a chi inviarrò quel che dal sirio influsso
celeste, in questi piú cuocenti giorni, ed ore piú
lambiccanti che dicon caniculari, mi han fatto piovere nel
cervello le stelle fisse, le vaghe lucciole del firmamento
mi han crivellato sopra, il decano de’ dodici segni m’ha
balestrato in capo, e ne l’orecchie interne m’han soffiato
i sette lumi erranti? A chi s’è voltato, - dico io, - a
chi riguarda, a chi prende la mira? A Sua Santità? no. A
Sua Maestà Cesarea? no. A Sua Serenità? no. A Sua
Altezza, Signoria illustrissima e reverendissima? non, no.
Per mia fé, non è prencipe o cardinale, re, imperadore o
papa che mi levarrà questa candela di mano, in questo
sollennissimo offertorio. A voi tocca, a voi si dona; e voi
o l’attaccarrete al vostro cabinetto o la ficcarrete al
vostro candeliero, in superlativo dotta, saggia, bella e
generosa mia s[ignora] Morgana: voi, coltivatrice del
campo dell’animo mio, che, dopo aver attrite le glebe
della sua durezza e assottigliatogli il stile, - acciò che la
polverosa nebbia sullevata dal vento della leggerezza
non offendesse gli occhi di questo e quello, - con acqua
divina, che dal fonte del vostro spirto deriva, m’abbeveraste
l’intelletto. Però, a tempo che ne posseamo toccar
la mano, per la prima vi indrizzai Gli pensier gai; apresso:
Il tronco d’acqua viva. Adesso che, tra voi che godete
al seno d’Abraamo, e me che, senza aspettar quel tuo
soccorso che solea refrigerarmi la lingua, desperatamente
ardo e sfavillo, intermezza un gran caos, pur troppo
invidioso del mio bene, per farvi vedere che non può
far quel medesmo caos, che il mio amore, con qualche
proprio ostaggio e material presente, non passe al suo
marcio dispetto, eccovi la candela che vi vien porgiuta
per questo Candelaio che da me si parte, la qual in
questo paese, ove mi trovo, potrà chiarir alquanto certe
Ombre dell’idee, le quali in vero spaventano le bestie e,
come fussero diavoli danteschi, fan rimaner gli asini
lungi a dietro; ed in codesta patria, ove voi siete, potrà
far contemplar l’animo mio a molti, e fargli vedere che
non è al tutto smesso.
Salutate da mia parte quell’altro Candelaio di carne
ed ossa, delle quali è detto che «Regnum Dei non
possidebunt»; e ditegli che non goda tanto che costì si dica la
mia memoria esser stata strapazzata a forza di piè di
porci e calci d’asini: perché a quest’ora a gli asini son
mozze l’orecchie, ed i porci qualche dicembre me la
pagarranno. E che non goda tanto con quel suo detto:
«Abiit in regionem longinquam»; perché, si avverrà
giamai ch’i cieli mi concedano ch’io effettualmente possi
dire: «Surgam et ibo», cotesto vitello saginato senza
dubbio sarrà parte della nostra festa. Tra tanto, viva e si
governe, ed attenda a farsi piú grasso che non è; perché,
dall’altro canto, io spero di ricovare il lardo, dove ho
persa l’erba, si non sott’un mantello, sotto un altro, si
non in una, in un’altra vita. Ricordatevi, Signora, di quel
che credo che non bisogna insegnarvi: - Il tempo tutto
toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s’annichila; è
un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e può
perseverare eternamente uno, simile e medesmo. - Con
questa filosofia l’animo mi s’aggrandisse, e me si magnifica
l’intelletto. Però, qualunque sii il punto di questa sera
ch’aspetto, si la mutazione è vera, io che son ne la
notte, aspetto il giorno, e quei che son nel giorno, aspettano
la notte: tutto quel ch’è, o è cqua o llà, o vicino o
lungi, o adesso o poi, o presto o tardi. Godete, dunque,
e, si possete, state sana, ed amate chi v’ama.